Sant'Arcangelo: posso anche se ritorno

22-23 Maggio 2017

Cosa significa “tornare giù”? diciamo che è la domanda che ha accompagnato tutto il mio viaggio. Sì perché teorizzare è un conto, renderlo nella pratica un altro. A Sant’Arcangelo incontro una persona che con la sua esistenza stessa mi da una parziale risposta. Lei è Lucia Finamore, assessore alla cultura del piccolo comune in provincia di Potenza toccato dalla mia Calata. Lucia la conosco grazie a Vito, un mio amico di Roma originario proprio di Sant’Arcangelo, che alla mia richiesta di aiuto risponde subito dicendomi “tieni il numero di Lucia, sarà molto felice di far parte del tuo progetto”. Così è stato. Quando la chiamai si dimostrò entusiasta. Forse perché un calata l’ha fatta anche lei. “Romana” come me, dovette adattarsi all’imprevedibilità della vita che per una serie di eventi la riportò a Sant’Arcangelo. Una volta qui si guardò intorno e proprio come me pensò “ma io qui voglio provare a viverci”. Di animo romantico, Lucia ha sempre affrontato la sua vita a Sant’Arcangelo secondo l’ideale dell’impegno e della perseveranza, nella giustizia e nella cultura fino a mettersi coraggiosamente in gioco a livello politico. Oggi condivide l’arduo compito di governo con una giunta giovane che alle ultime elezioni spodestò un decennale ed incontrastato potere. È curioso constatare come le stesse cose succedano in posti differenti, a volte molto lontani geograficamente e culturalmente e che il loro essere dipenda più dal periodo storico che dalle persone stesse. Il discorso dei rovesci politici negli ultimi 7 anni ha interessato tutto il globo. Vedi la primavera araba, vedi Trump, vedi la Brexit, vedi il Movimento 5 Stelle, vedi gli egemoni poteri politici dei piccoli paesini del Sud Italia che a poco a poco vengono smantellati dal bisogno di cambiare, da una presa di coscienza e molte volte, purtroppo, “dalla fame”. Il mantenimento di alcuni asset politici, soprattutto nelle piccole amministrazioni, si è reso possibile negli anni grazie alla dovizia di soldi, posti di lavoro o favori da elargire. L’impossibilità (parziale) odierna, di continuare a garantire questa moneta di scambio, ha fatto si che le coscienze popolari si muovessero nel senso opposto e purtroppo non sempre con risultati degni e ben ponderati. Molto spesso l’obiettivo non è stato il “cambiare le cose” ma piuttosto il “cambiare il potere”. Il modo successivo di governare rischia di restare sempre lo stesso non riuscendo dunque a proporre un cambio effettivo di rotta che prima di tutto passa dall’eliminazione di quei piccoli sotterfugi che, diciamoci la verità, fanno comodo un po’ a tutto. Negli ultimi anni ho avuto modo di osservare come il miglioramento nella gestione della cosa pubblica passi inevitabilmente dalla cultura sociale e non tanto dai rappresentanti che vengono mandati lì a governare. Come a dire che ormai la gente certe cose se le aspetta e ci si è adattata, in certi casi ha saputo guadagnarci sopra ed ora le pretende come diritti acquisiti. È molto semplice oggi interfacciarsi con giovani che alla resa dei conti, se possono, usufruiscono della “scorciatoia” come se fosse una cosa ormai normale “tanto fanno tutti così”. Le rivoluzioni, fatte con grande foga e poca progettualità hanno sempre portato ad uno status peggiore del precedente.

La parentesi politica a Sant’Arcangelo calza bene perché Lucia mi parla proprio delle difficoltà di amministrare, soprattutto per una che nella politica vede un mezzo per fare cose buone. “pensi di avere carta bianca, pensi di avere la possibilità di fare e la capacità decisionale. Poi t’accorgi, però, che la politica è solo una questione di equilibri, par condicio e politically correct. È più strategia che altro e questo rallenta e certe volte rende impossibili le cose”. Fare questo viaggio mi ha dato un grande vantaggio, vivere le esperienze altrui. Lucia mi apre gli occhi sulla realtà di un contesto che avevo pensato di prendere in considerazione per cercare di cambiare le cose. In effetti, a questi livelli, il mezzo politico è fruttuoso solo se attorno non hai ostruzionisti che però purtroppo proliferano sempre di più edificando la gabbia che blocca lo sviluppo.

La prima cosa che noto arrivato a Sant’Arcangelo è che è divisa in due, o meglio, spaccata in due. In alto il centro storico: fastoso nella sua architettura novecentesca. Sede di tanti palazzi signorili ma vittima di uno spopolamento marcato. In basso a 3 km, San Brancato: cuore economico della cittadina, adiacente alla scorrevole 598 che collega alla costa, in costante crescita demografica.
Lucia lotta per il centro storico. Ha ereditato dai suoi genitori un palazzetto, dove vive, di fianco alla bellissima chiesa di San Francesco e sa che la sostenibilità abitativa passa per i piccoli centri piuttosto che per gli “agglomerati quadrati” come mi piace definirli.

Nell’insieme Sant’Arcangelo è una cittadina viva. Incontro molti giovani imprenditori e tutti con idee originali. Iniziamo il nostro tour sicuramente col più estroso: Antonio Fanelli. Antonio è uno di quelli che ha trasformato la passione in professione e l’ha portata all’apice lavorativo. Nel mondo della moda, nell’allestimento di eventi, sfilate e vetrine è arrivato a lavorare con Dolce&Gabbana e tanti del loro livello. Il massimo! O forse no . . . “non era più una vita sostenibile. Lavorare a quei livelli significa non averla una vita e nemmeno la retribuzione, se rapportata alle giornate intere di lavoro, riesce a compensare questa mancanza”. Oltre tutto il pregiudizio verso i meridionali lo accompagna nella sua carriera. Antonio questa vita la fa per una ventina d’anni tra Milano, Londra, Parigi ma un bel giorno decide che la sua vita è più importante e crede che tornare a Sant’Arcangelo ed investire qui possa essere la giusta strada per vivere sereno. Ma perché Antonio è il più estroso? Beh, Antonio ha fatto una vera e propria rivoluzione. In un contesto geografico in cui siamo abituati a farci tutto in casa, comprese feste ed eventi, lui diventa un wedding planner! Non so se rendo chiarezza sull’entità della cosa ma io la reputo epocale. Nessuno studio di settore avrebbe mai individuato il bisogno di un wedding planner nella provincia di Potenza ma lui lo ha fatto ed ha dimostrato a tutti che il problema dell’economia non è mai la domanda bensì l’offerta. Da quando lui offre i suoi servizi il trend è cambiato ed in tantissimi hanno iniziato a capire che far organizzare un matrimonio ad un professionista fa risparmiare soldi e salute. Personalmente non vorrei mai avere a che fare con delle spose a ridosso del loro matrimonio ma Antonio sa come gestire queste situazioni e con grande maestria ottiene ottimi risultati. “Non è stato semplice” dice Antonio “giorno dopo giorno la cosa più difficile è stata far capire cosa facessi praticamente e quanto fosse vantaggioso affidarsi a me. Molte volte mi sono detto che era una pazzia ma la perseveranza ha vinto su tutto e adesso sono qui” ed intanto ci mostra un articolo del Corriere della Sera” che parla di lui come “Miglior vetrinista d’Europa”!

Sant’Arcangelo sembra essere la capitale dei ritorni, in questo mio particolare viaggio. Storia analoga a quella di Antonio è quella di Giuseppe, Michele e Francesco e della loro Obdo. “abbiamo gli occhiali per questo ci chiamiamo Obdo”. Un po’ spaesato finalmente noto la b e la d che graficamente richiamano ad un paio di occhiali. I tre amici hanno messo su uno studio di progettazione grafica e web. Anche questa è un’originalità in un contesto economico, quello del Sud Italia, che non ha mai badato particolarmente alla comunicazione e non l’ha mai considerata strettamente necessaria alla riuscita della propria impresa. La loro formazione è stata a Milano ma come me (e fortunatamente, mi trovo a constatare, come tanti) decidono di investire lì dove sono nati e cresciuti. Il loro ufficio si differenzia da quello di tutti gli altri nella loro zona. Cura, garbo, design d’eccellenza. “e’ difficile far capire l’importanza della comunicazione ma piano piano ci stiamo facendo conoscere”

Gianfranco Montano ha fatto delle sue mani il suo punto di forza. WorldwideItaly lo definisce il “Calzolaio 3.0”. Gianfranco lavora per diversi anni a Parma in una casa farmaceutica ma poi si rende conto che non è quella la vita che vuole per lui ma che soprattutto non è lontano da Sant’Arcangelo. Approfitta dunque dell’arte padroneggiata dallo zio che insegna calzoleria a Firenze. Inizia dunque il training che culmina con una scommessa: aprire una bottega proprio a Sant’Arcangelo. Il giovane ventottenne oggi vende scarpe su misura in tutto il mondo. La politica e la nostra cultura hanno buttato al macero ciò che davvero contava non incentivando mai le maestranze e la fatica. Oggi, giovani mossi da idea e bisogno riscoprono ciò che davvero era utile.

Un altro ragazzo la pensa come me. Salvatore Lucca crede che il proprio lavoro si possa fare ovunque e soprattutto che dobbiamo provare a restare e a far crescere il proprio territorio. Dopo anni a Bologna torna qui in Basilicata. Addestratore cinofilo di alto livello, lascia i pregi economici della città per trasferirsi in un posto dove la cultura per gli animali è pressoché medioevale. Questo vale per tutto il mezzogiorno e l’ho visto coi miei occhi lungo il mio viaggio. Di cani randagi ce ne sono a centinaia e quelli che una casa ce l’hanno non vengono minimamente educati alla condivisione con le altre specie. Salvatore lotta per gestire il canile comunale e per dare ristoro alle decine di randagi in giro per il territorio. Nemmeno questo però è semplice. Tra burocrazia e cultura il suo tono oscilla tra il grintoso ed il rassegnato ma di sicuro vincerà la testardaggine.

Lucia è orgogliosa di Sant’Arcangelo, ammettendone limiti e paradossi. Le sue idee di sviluppo per il centro storico sono tantissime, tra cui la riqualificazione del centro sociale “Pizzilli” attraverso laboratori teatrali in collaborazione con la Fondazione Città per la Pace che accoglie giovani migranti. Anche qui tocco questo delicato tema ed anche qui confermo una cosa fondamentale: abbiamo paura di ciò che non conosciamo e non ci sforziamo minimamente di conoscere per non avere più paura. Una cooperativa qui si occupa dei ragazzi, per lo più adolescenti. L’armonia regna, come le regole. I ragazzi sanno autogestirsi e vengono educati al rispetto degli spazi e delle persone. Li trovo che giocano a pallone, la cosa più naturale del mondo. Qualcuno sicuramente dirà che bighellonano giocando a calcio piuttosto che guadagnarsi da vivere ma la fame fa brutti scherzi e manovrare uno stomaco vuoto è un gioco da ragazzi.

Appena fuori Sant’Arcangelo il convento di Santa Maria d’Orsoleo. Un gioiello nel verde incontaminato. Un monastero francescano del ‘400 che non ha tempo. All’interno un museo moderno ed interattivo ma il vero tesoro sono gli affreschi cinquecenteschi di Giovanni Todisco di Abriola, espressione del rinascimento pittorico lucano, che rendono questo posto un ricettacolo di arte ricchissimo. A visitare Orsoleo non ci sono solo io. Qui conosco i ragazzi di Exodus che arrivano da Tursi. Don Mazzi ha aperto qui, nel convento di San Rocco una comunità per ragazzi dipendenti. Girano la Basilicata in bici per raccontare la loro storia ed educare sulla loro storia. Salvatore Graziano, il responsabile, mi spiega che la comunità si sposta come un esodo, appunto, e trova ospitalità nelle chiese. L’obiettivo attraverso l’autogestione totale e la condivisione è quello di riportare il giovane ad una dimensione reale con se stesso, metterlo di fronte alla propria storia ed aiutarlo a ricominciare.
La considerazione è sempre la stessa. Ciò che vale per i ragazzi della Fondazione Città per la Pace vale anche per questi ragazzi ex tossicodipendenti, il pregiudizio ci fa porre nei loro confronti con rabbia, quasi con la bava alla bocca e come dei cani ringhiosi spariamo sentenze assurde su persone che, fondamentalmente, non conosciamo e delle quali non conosciamo la storia.


Lucia mi accompagna verso la prosecuzione del mio viaggio attraverso questa terra bella e amara, controversa e contraddittoria

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