Bella: tessuto sociale ed educazione al lavoro

11 Maggio 2017



Da Castelgrande a Bella sono 17 km. Mi indicano una strada meno trafficata che attraversa tutta la campagna che divide i territori di Castelgrande e Muro Lucano. È Maggio, periodo di fiori e ad un certo punto mi ritrovo ad attraversare un enorme campo i cui colori ricoprono tutto lo spettro. Oltre il campo inizia un lunga discesa e sulla mia destra mi ritrovo in lontananza un pugno di case abbarbicato sul fianco precipitoso di una collina: è Muro Lucano, che mi riporta in mente le descrizioni di Tolkien delle sue città fantastiche. Supero Muro Lucano e scendo nella vallata. Dopo tortuose strade tra campi e masserie guardo in alto ed a piombo su di me scorgo Bella!
È un comune di circa seimila abitanti, comprese le frazioni di San Cataldo e Sant’Antonio Casalini. Le origini del nome sono avvolte nel mistero. La prima versione è che derivi da Bellum (guerra in latino): qui nel 210 a.C. ci fu la sanguinosa battaglia tra Annibale e Marcello. La seconda versione lega il nome al termine latino “aper” per indicare l’aperula cioè la piccola città dei cinghiali. La terza versione è quella più romantica e forse quella più condivisa. Il nome Bella deriverebbe da Isabella, la cui bellezza ammaliò Federico II di Svevia evitando alla cittadella l’annunciata distruzione.
Qui a Bella incontro Michele Zuardi, presidente della proloco. Michele non è originario di qui bensì di Armento, un piccolissimo paesino che si trova sempre in provincia di Potenza ma circa cento chilometri a Sud. Qui Michele si sposò ed acquisì la cittadinanza bellese : “Io vivo qui da decenni e mi è sempre sembrato giusto impegnarmi e spendermi per il posto in cui vivo” mi dirà poi. Con lui apprezzo l’immenso patrimonio naturalistico di Bella e parlo di territorio. Mi spiega che il comune di Bella in realtà ne comprende tre.
San Cataldo ha una forte vocazione imprenditoriale, specialmente nell’ambito delle costruzioni di celle frigorifere industriali: “loro ormai costruiscono celle in ogni nazione del mondo”. Sant’Antonio Casalini ha invece una preponderante vocazione verso l’allevamento dei bovini (ci sono capannoni zeppi di mucche ogni 500 metri!).
Bella sembra pagare un po’ le spese di questa dispersione. Non vi è una vocazione preponderante. In passato forse quella commerciale che però venne progressivamente stroncata dalle politiche di cui già tanto abbiamo parlato. Nonostante le tre realtà siano geograficamente e vocazionalmente divise ci sono costanti punti di contatto. Bella vive un discreto spopolamento e la popolazione attiva sembra essere sempre in diminuzione, sia per mancanza di numeri, sia perché le nuove generazioni sembrano non interessarsi ad una concreta idea di sviluppo.
A Bella si parlerà proprio di questo e lo farò con i volenterosissimi componenti della Proloco: Michele, Patrizio, Maria Rosaria, Caterina e Gerarda. Loro hanno tutti superato i 40 anni ma hanno l’entusiasmo dei ventenni. Lo stesso entusiasmo che stentano a trovare nei ventenni di oggi.
Nella loro sede mi parlano prima di tutto delle iniziative che vanno a svolgere durante l’anno. Durante il mio viaggio non mi sono mai soffermato sulla tipologia di iniziative che le proloco o le associazioni organizzano, bensì sulla loro qualità. La differenza sta proprio lì. Ecco che una semplice sagra diventa momento di promozione dei prodotti tipici fatta in maniera seria e produttiva. L’importante è avere un progetto e non considerare mai una manifestazione fine a se stessa. Qui a Bella la pensano come me ed io me ne accorgo già dalla grafica e dalla pubblicità dei loro manifesti. Le cose belle devono avere anche un bell’involucro, o packaging, come dicono gli esperti di pubblicità. Mi convinco sempre di più, crescendo, che è vero, l’abito non fa il monaco ma se il monaco ha un bell’abito è meglio. La cura dei particolari indica passione, questo è innegabile. I miei interlocutori di oggi di passione ne hanno da vendere, in un contesto che si presenta spesso difficile e di difficile apprendimento.
La proloco di Bella , benché composta da pochi membri rappresenta una sinergia perfetta dove ognuno ha il suo ruolo e dove avviene una precisa compensazione di caratteri e di modi operandi.
Coi ragazzi andiamo a far visita ad un imprenditore di zona, che fa un prodotto molto particolare. Pepino Doino, qualche anno fa ha individuato un mercato chiuso, senza alcuna possibilità di sviluppo ma che gli garantisce una certa egemonia. Questo mercato ha un’altra particolarità, non si trova in Italia. Nella regione della foresta nera in Germania, ogni anno si fa una festa in cui ci si traveste e la cosa più caratteristica di quest’abbigliamento sono le scarpe. Bene, queste scarpe vengono fatte a Bella! Io non volevo crederci, in effetti è una storia un po’ assurda ma da quando le ultime vecchiette tedesche hanno smesso di intrecciare queste particolari calzature nella foresta nera è nato quest’annoso problema. Pepino lo ha risolto, grazie alla complicità di alcuni parenti che vivono da quelle parti. Si è infilato in un mercato ermetico e a tenuta stagna che gli garantisce un discreto quantitativo di lavoro ma anche lui ammette che il limite è proprio questo, cioè l’impossibilità di uno sviluppo. Per ora Pepino va bene e da lavoro ad una decina di persone. Questa storia mi fa riflettere su quanto, in imprenditoria, sia vera la regola che vuole una buona impresa partire dal mercato e non dal prodotto.

Mi soffermo a parlare un po’ con Patrizio, sicuramente il più esuberante del gruppo. Ha mille idee e non sta mai fermo. Mi dice “la mia infanzia difficile mi ha abituato ad arrangiarmi ed a vedere sempre il lato positivo delle cose”. Se la vita ti chiude le porte, ricorda che una finestra aperta o facile da forzare, c’è sempre. “non c’è lavoro, forse è vero” mi dice “ma se ci si impegna non si resta senza far niente. Io certe volte faccio tre lavori contemporaneamente e la gente mi apprezza proprio per la mia correttezza e la mia dedizione”. Mi viene da pensare che se Patrizio fa tre lavori, vuol dire che ci sono almeno due opportunità occupazionali che non vengono sfruttate. Patrizio non è il primo e tante volte ho parlato nei miei articoli di realtà in cui sembrano esserci molte opportunità lavorative non colte. Il motivo dov’è? Con lui e gli altri ne parliamo a cena e conveniamo che il problema sta proprio nell’educazione al lavoro che c’è stata da una certa generazione in avanti. Minimo lavoro, massimo guadagno; lavoro da scrivania; posto fisso; pochi sacrifici. È chiaro che a queste condizioni le opportunità lavorative scarseggiano, anche perché, giustamente quelle stesse condizioni implicano una specializzazione ed uno studio non indifferenti e sinceramente in pochi ci arrivano ed in pochi possono pretenderle. Mi congedo dai ragazzi, pieno di una nuova esperienza. Domani si riparte, sempre più a Sud

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