6 Maggio 2017
Lasciare Avellino non è stato semplice
e convincere i ragazzi che l’indomani mi sarei dovuto svegliare
alle 7, nemmeno. Alla fine dei conti mi sono fatto la tappa
Avellino-Castelfranci, circa 27 km, con 2 ore di sonno. Il percorso è
stato comunque piacevole sulla strada che di diritto mi conduceva nel
cuore dell’Irpinia e verso la fine della Campania. Attraverso
Atripalda, Parolise, Chiusano San Domenico e Castelvetere sul Calore
prima di arrivare a Castelfranci. Per i primi tre quarti del percorso
le strade sono provinciali ma alla fine, inevitabilmente, mi immetto
sull’Ofantina, una strada statale abbastanza trafficata.
Ho
imparato ormai a distinguere le strade potenzialmente pericolose da
quelle obiettivamente pericolose e questa, almeno nel tratto che
percorro io, mi sembra faccia parte del primo gruppo. Il suo unico
problema sono le gallerie, una in particolare, lunga 450 metri e
buia. Bene, in questi casi serve un quarto d’ora per riflettere.
Non voglio stare dentro un tunnel buio per così tanto tempo, anche
perché il rumore è assordante ed i guidatori più “intelligenti”
ritengono opportuno suonare il clacson per segnalare la loro
presenza, come se non si notasse già. Mi guardo attorno, davanti a
questa enorme bocca nera, poi il mio sguardo si fissa in alto…” e
se ci passassi sopra?”. Bene, l’ho fatto, ho sormontato una
galleria lunga 450 metri e non avete idea della sensazione che si
prova. Sembra un porto franco, un lembo di terra di nessuno.
Tanto vicino alla civiltà quanto ignorato. Non sembrerebbe ma è
stato parecchio adrenalinico pensare che sotto ai miei piedi ci fosse
un vuoto di una decina di metri e che ci passassero centinaia di
macchine. Insomma, provate per credere!
Anche questa tappa mi
avvicina alla mia Albidona, non solo fisicamente ma anche
spiritualmente. Difatti a Castelvetere sul Calore ho appuntamento con
Leonardo e Giovanni, due grandi amici che conosco da venticinque
anni (ne abbiamo ventisette), insomma, due fratelli, amici di una
vita, gente con cui non ti fai problemi ecco, spero che davvero tutti
possano capire il concetto. Loro vivono a Roma e con una 500 in
affitto mi raggiungono in Irpinia per condividere un pezzo di questa
magica esperienza. Pranziamo lì, in una piazza, con dei panini.
Parliamo, condividiamo, ci “sfottiamo”, come succede sempre. Un
classico pomeriggio come quando ancora non avevamo diciannove anni,
ed eravamo tutti in paese. I lunghi pomeriggi in cui non trovavamo
niente da fare e che si risolvevano semplicemente stando insieme, a
fare cose pure inutili, ma non ci interessava. Uno di quei pomeriggi
che la vita, per forza di cose, fa diventare sempre più rari e che
ad un certo punto toglie del tutto. La mia scelta di tornare a
vivere giù ha palesato subito un problema abbastanza importante: dei
miei amici storici non c’è rimasto quasi più nessuno. Fare
una scelta controcorrente significa andare appunto nel verso opposto
in cui si muovono tendenzialmente le cose. Anno dopo anno i miei
amici hanno fatto quello che per primo feci io, cioè andarsene. Non
ho mai nascosto a nessuno che questo è il mio unico e vero problema
del tornare giù.
A Catelfranci mi aspetta Gianni
Boccella, assessore nell’attuale amministrazione comunale. L’arrivo
mi fa già intuire su cosa ruoti l’economia in questo territorio:
un’enorme scritta in ferro all’ingresso del paese recita
“benvenuti a Catelfranci, terra del vino”. Qui si producono
Aglianico e Taurasi e ci sono vigneti ovunque. Gianni è uno di
quelli che ha scelto di restare e di impegnarsi in prima persona. Un
tipo dinamico anche dal punto di vista lavorativo: mi dice di aver
fatto l’assicuratore, di aver poi lavorato per una cooperativa e
adesso di averne creato una tutta sua. Visitiamo insieme il paese che
porta ancora i segni del terremoto. Le politiche ricostruttive qui
però hanno tutelato un po’ di più il centro storico, quantomeno
non delocalizzandolo e le attuali scelte amministrative puntano
all’acquisto, alla messa in sicurezza ed alla messa a disposizione
di immobili ormai dismessi. Diciamo che in generale le scelte a
Castelfranci virano soprattutto sul riabilitare edifici dismessi ed
affidarli ai cittadini favorendo ed incentivando la piccola
imprenditoria creando così un circolo in cui il piccolo che fa
impresa viene anche informalmente affiancato dall’esperienza degli
amministratori. Oggi mi aspetta anche un collegamento skype in
Francia, a Bordeaux, con Sabino Colucci, un ragazzo di Castelfranci
che si trova lì per accrescere la sua esperienza nella
vinificazione. Il suo obiettivo è “rubare” dove può per poi
investire tutto il suo sapere nel proprio territorio. Mi parla
delle differenze in ambito scolastico enologico tra Italia e Francia
e di quanto i transalpini siano molto più avanti di noi. Mi dice che
tra qualche tempo andrà in Nuova Zelanda per apprendere tecniche
dell’emisfero australe e per fare due vinificazioni in un anno. Le
idee di Sabino sono chiarissime e chiarissimi sono per lui i limiti
del suo territorio e del sud Italia in generale. Il primo limite lo
riscontra nel divario generazionale e nell’utilizzo di tecniche
ormai antiquate che danno poco spazio a quelle contemporanee. Si
torna dunque sulla problematica del ricambio e di una società attiva
che non va proprio al passo coi tempi sia per cultura sia per un
problema di numeri in quanto l’esercito dei giovani è sempre più
scarso. Sabino ipotizza la soluzione consortile come necessaria per
uno sviluppo ma si rende conto della difficoltà di attuarla in un
contesto dove tendenzialmente non si collabora. Lui è ottimista
come me sul nostro territorio ed è consapevole che tutto ciò che
porterà è nuovo e sicuramente darà frutti col tempo.
Il nostro tour continua e Gianni mi fa
vedere un perfetto esempio di riabilitazione di edificio dismesso. Un
antico mulino ad acqua, sulle sponde del Calore, che oggi è
diventato un importante ristorante. Poi mi parla di un curioso
progetto che se andasse in porto consegnerebbe a Catelfranci il
titolo di secondo comune in Italia ad ospitarlo: la vino terapia, una
Spa dove al posto dell’acqua c’è il vino, il sogno di tanti. In
Italia oggi ce n’è solo uno in Trentino Alto Adige. Ci avviamo a
cena dove ho l’opportunità di conoscere un altro consigliere,
Soccorso Boccella, proprietario dell’agriturismo Montagne Verdi,
che mi ospita, ed il sindaco Cresta Generoso. Col sindaco Generoso
ho modo di parlare di Sud e di questione meridionale. Lui è un
unitarista convinto ma ammette che il processo di unificazione è
stato frastagliato da atti poco chiari e che hanno inevitabilmente
svantaggiato il meridione. Interessante la sua concezione di
territorio e le sue strategie per sopravvivere come comunità. Lui è
promotore dell’unione dei comuni della alta valle del Calore ed
ipotizza delle opere strutturali che vadano a sancire ancora di più
questo ideale territorio come per esempio la costruzione di un
grande plesso scolastico in un posto baricentrico che tra le altre
cose risolverebbe l’ignobile problema delle pluriclassi, visto che
quasi tutti i piccoli centri sono costretti ad attuarle. Sulla
piccola imprenditoria la sua idea è di una stretta complicità tra
popolazione, piccoli imprenditori ed istituzioni per far si che
nascano attività commerciali. Giustamente per lui l’amministrazione
della cosa pubblica deve passare necessariamente da idee che
incentivino la produzione ed il commercio e mi conferma la strategia
di riabilitare immobili comunali ed affidarli, incentivandoli, a
piccoli imprenditori. Il sindaco, nonostante non sia più un
giovanotto ha una mente fresca ed idee da trentenne, parla tanto
di legalità e del nostro vizietto di voler sempre eludere le leggi,
come se vivessimo ancora oggi quel giogo dinastico che durante i
secoli ci ha sempre costretti ad arrangiarci.
La cena scorre via
in mezzo a decine di prodotti tipici davvero difficili da rifiutare.
Saluto i miei simpatici commensali augurandogli che loro politica,
che condivido pienamente, possa dare frutti in breve tempo.