29 Aprile 2017
Da Maranola a Sessa sono 32 km che
attraversano le ultime città del Lazio, varcano il il fiume
Garigliano e si buttano nell’immenso territorio della mia
città/meta, primo per estensione in Campania. Attraversare il
Garigliano significa godere contemporaneamente di tre ponti
appartenenti a tre epoche differenti e di poter fare un confronto
curioso. Il ponte che attraverso io è di mussoliniana memoria, gli
stessi si possono percorrere sulle fiumare calabresi. Pura apologia
del cemento armato e della forma statica. A destra il ponte borbonico
(chiuso e visitabile da turista), il trionfo delle travi in ferro,
simile, seppur in scala ridotta ai ponti ungheresi dell’800. A
sinistra il ponte moderno dell’Appia quater, cavi d’acciaio e
forma snella. Dopo il fiume, la Campania e direttamente territorio di
Sessa Aurunca. Quando leggo il cartello penso “ah, mi sembrava più
lunga” ed invece no. Un’immensa distesa di piantagioni ed
allevamenti per oltre 15 km prima di arrivare alla città.
Ad aspettarmi c’è Antonio, un amico
raggiunto grazie alla rete di conoscenze ed amicizie creatasi
nell’organizzazione quadrimestrale de “La Calata”. Antonio
gestisce un centro SPRAR, con la sua associazione ASSOPACE SESSA.
Avere l’opportunità, in questo viaggio, di andare a toccare e
verificare con mano lo spinoso problema dell’accoglienza, nel Sud
Italia, chiarisce i dubbi che possono nascere sull’argomento.
Antonio ha circa quarant’anni. È sempre stato politicamente ed
associazionisticamente attivo nella sua Sessa Aurunca. Nel 2001, con
un collaboratore, decide di aprire un centro accoglienza per
rifugiati politici. Questo mi fa subito intuire che Antonio, il suo
particolare mestiere , lo fa per passione avendolo iniziato in un
periodo in cui non esisteva un’emergenza immigrati. Tant’è che,
mi dice, “i primi anni i nostri ospiti erano pochissimi e le
associazioni del genere, in Italia, si contavano sul palmo di una
mano”.
I centri SPRAR (SERVIZIO CENTRALE
PER LA PROTEZIONE DI RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI) sono associazioni
private con mandato e finanziamenti statali per gestire i richiedenti
asilo. Lo Stato versa dei soldi nelle casse di queste
associazioni ed il loro compito è quello di gestire i fondi per
l’assistenza e la dignità di queste persone. I famosi 35€ a
persona di cui si discute tanto sono questi.
Gli ospiti di Antonio sono 21. La
scelta di fermarsi ad un numero limitato di ospiti, nonostante lo
Stato gli chieda di ospitarne altri (per lui sarebbe un ulteriore
guadagno), nasce da un concetto molto semplice “se sono tanti, noi
non riusciamo a garantirgli un livello assistenziale adeguato e visto
che per noi è molto più importante far bene il nostro lavoro
piuttosto che guadagnare di più abbassando il livello, abbiamo
sempre rifiutato di superare un certo numero”. Successivamente mi
spiega come vengono usati i fondi. I 35 € a persona servono per:
spese burocratiche, affitto alloggi, vitto, vestiario, spese ufficio,
stipendi dipendenti e collaboratori. In tasca agli ospiti resta un
pocket money da 15€ settimanali. L’opinione pubblica non vede
di buon occhio il lavoro di Antonio, seguendo l’andazzo nazionale
della mal’informazione. Lui peró mi spiega un concetto molto
semplice: “il centro gestisce un cospicuo quantitativo di soldi
nell’anno, che cerca di riversare nel territorio di Sessa. La gente
non capisce che questo crea un circolo microeconomico per la quale il
beneficio di questi fondi statali va a loro stessi. Gli affitti
vengono pagati a privati di Sessa, i vestiti li compriamo qui, il
cibo lo compriamo qui, tutte le spese possibili vengono affrontate
qui e cosí fanno tutti i centri seri sparsi per l’Italia, creando
economia nel proprio territorio”.
Il fatto è questo: lo Stato decide di
adottare una determinata politica, condivisa o incondivisa che sia.
Quando lo Stato decide una cosa è quasi impossibile che i malumori,
le insurrezioni popolari gli facciano cambiare idea(vi ricordo che
siamo in un paese dove ci fanno votare ai referendum e poi
magicamente le scelte del popolo vengono eluse con qualche cavillo).
Bisogna dunque adattarsi, quando possibile, nel migliore dei modi.
Nel caso degli SPRAR esistono le coop o le associazioni che speculano
su quei soldi e poi c’è Antonio, ed i tanti come lui, che oltre a
dare un servizio a favore della dignità umana, cerca di far crescere
il suo territorio utilizzando i fondi in loco. Quelli come
Antonio dovrebbero essere appoggiati dalla popolazione, sia per
morale, sia per praticità. Il problema è che siamo troppo abituati
a pensare con la pancia piuttosto che con la testa. Se ci fermassimo
a riflettere, a pensare, a toccare con mano, se chiudessimo la bocca
quando non abbiamo cognizione di causa, si innescherebbe quel circolo
vizioso positivo grazie alla quale le cose inizierebbero a
funzionare. Il problema non è essere favorevoli o contrari a
determinate leggi o scelte politiche, il problema è saper discernere
nel nostro quotidiano tra il bene ed il male.
Grazie ad Antonio a Sessa conosco altri
simpaticissimi e disponibilissimi amici che mi accompagnano per la
città e dintorni, facendomi conoscere la storia e le caratteristiche
del territorio. Un territorio ricco di storia, che conserva chiese
antichissime ed uno dei pochi anfiteatri romani intatti. Molto di
tutto ció è pero o in decadenza o non sfruttato. Un altro nostro
caratteristico limite, non saper riconoscere e far fruttare le nostre
bellezze.
La prima sera della mia permanenza
siamo ospiti di Maura, una giovane veterinaria, che ha deciso di fare
“filiera corta” nel senso che applica le sue conoscenze alla sua
azienda agricola dove produce formaggi, conserve ed altre
prelibatezze. Il suo progetto? Investire nell’agricoltura e la
trasformazione, nella sua terra. L’esclusività e la lungimiranza
della cosa le vedo nel suo modo di fare “masseria”.
L’indiscutibile rispetto delle norme (no, non è banale da
dire), la ricerca costante del “particolare”, l’occhio sul
mercato, l’idea di aderire ad una associazione di giovani
agricoltrici ed allevatrici italiane ed il confronto che ne nasce. In
questo viaggio finora ho avuto tanti spunti dalle aziende agricole e
visto che uno dei possibili attracchi per lo sviluppo a Sud è
l’agricoltura sarebbe interessante un sano e produttivo confronto,
una rete di reciproco aiuto e consiglio, che serva a far innovare le
aziende “vecchie” ed a far partire bene quelle nuove.
Il giorno
successivo Alfonso ed Anna mi portano a visitare i vigneti della loro
vicina Tuoro e lì una piccola cantina con un marchio che sta
espandendo la sua fama. Il proprietario mi spiega in dieci minuti
come fare un ottimo vino, mi fa visitare le cantine e facciamo una
degustazione. Perché vi dico questo? Per lo stesso motivo per la
quale vi dico tutto il resto. Le strategie di sopravvivenza a Sud
non sono eclatanti e poche ma tante e piccole. Fare impresa a Sud, da
oggi in poi, deve necessariamente significare due cose: farla per
passione e farla secondo criterio. Solo cosí si puó puntare ad
essere competitivi in un mercato che non è più quantitativo ma
qualitativo. Avremo modo di parlare di queste cose in maniera
approfondita successivamente.
La mia permanenza a Sessa Aurunca
finisce con un viaggio non progrqmmato a Napoli. Saluto Antonio e
suo figlio, ringraziandoli per la fraterna ospitalità. La prossima
tappa è Montesarchio, Benevento