23-24 Aprile 2017
La tappa di Castro dei Volsci è
particolare. Tamara, presidentessa della Pro Loco, è quella con cui
sono stato piú a contatto. Da quando le ho presentato il progetto, a
Gennaio, ha messo in moto il cervello ed ha partorito una montagna di
idee e mi ha dato sempre l’impressione, che poi è stata
confermata, di una proloco molto attiva ma soprattutto compatta.
L’ultima pensata è quella di unire la mia presenza a Castro con
quella di Dario Celani, un giornalista che si occupa,in questo caso,
di slow food come strategia di sviluppo nei piccoli borghi (guarda i
casi della vita!) e fare un convegno sempre nell’ottica della
sopravvivenza dei piccoli borghi.
Pensavo che il percorso per Castro
fosse piú impervio, invece giá gli amici di Priverno mi avevano
raccisurato sulla grande fattibilità della tratta. La strada si
disegna lungo la valle dell’Amaseno, passando per l’omonimo
borgo. Il viaggio è stato reso ancora piú leggero dall’incursione
lungo la strada di quattro amici, Marco, Joseph, Patrizia e Rino, che
da Roma sono venuti fin quaggiú per darmi sostegno e rifocillarmi
con degli ipercalorici fritti pugliesi! Grazie!
L’ultimo tratto di strada per Castro
è un salitone di quattro km. A guardarla da giú già si nota la sua
originalità ed intuisco l’intricato sistema di viottoli, archi e
scale che la compongono. Affronto la salita e dopo circa un’ora,
attraversando i vicoli medievali del borgo, mi trovo davanti al
monumento della mamma ciociara, nella piazza piú alta del paese da
dove si vede tutta la Ciociaria, Monte Cassino ed anche gli
Appennini. Dovevo arrivare alle 15 ma sono arrivato alle 14. I
ragazzi della proloco hanno appena chiuso la loro “giornata
ecologica” e stanno riposando un attimo, il mio arrivo li coglie di
sorpresa ed involontariamente gli interrompe la pausa. Dei ragazzi
mi raggiunge Cristian, un tipo simpaticissimo, una macchina da
guerra, un dissidente nato, uno che porta l’orologio indietro di
7-8 ore, come il fuso di Cuba! Mi carica sul fuoristrada e mi porta
dal “Ruspante”, l’agriturismo di Pasquale, dove saró ospite.
Il posto è fantastico, fatto bene. Quando entro in camera sembra di
entrare in una chiesa: sento il profumo dei materiali, la freschezza
dei muri a pietra. Mi ricompongo, alle 17 c’è il convegno alla
torre dell’orologio. Qui finalmente conosco di persona Tamara, una
ragazza tuttofare che si occupa di mille cose e se ne occupa bene,
una che sa gestire e controllare, insomma una nata per fare la
presidentessa. Gli oratori del convegno siamo io, il presidente slow
food Frosinone, un artista che cura una mostra per Amatrice ed un
divulgatore scientifico. Tutti e quattro a parlare della
sopravvivenza dei borghi, da quattro punti di vista. Castro fa
4000 abitanti ma il borgo solo 200. Il convegno peró è
partecipatissimo, circa 80 persone, ma mi dicono che pochi sono del
luogo. Mi viene chiesto di fare una proposta turistica, dato il mio
insolito viaggio. Su questi temi, ormai scottanti, si fa tanta
demagogia e propaganda. Allora ho deciso di essere molto crudo e
pragamatico. Vengo da una terra che ha conosciuto tantissimo turismo
e che ha trattato l’argomento in maniera scellerata, avendo
le risorse ma non le capacità gestionali ed avendo puntato tutto sul
turismo da villaggio sulla costa piuttosto che su un turismo
interessato/esperenziale, su un turismo quantitativo piuttosto che
qualitativo. La mia proposta è appunto quella di un turismo
esperenziale che faccia davvero conoscere i luoghi che si
visitano e soprattutto la gente che ci vive essendo il viaggio stesso
un’occasione per crescere culturalmente. Eliminare il turismo
dozzinale e commerciale ed investire su quello interessato
abbandonando l’ottica del guadagno facile per abbracciare quella
del guadagno lungimirante. Insomma la mia idea di vacanza non è
quella di una parentesi che ti esuli dalla vita ma quella di un tempo
in cui crescere mentalmente.
Chiuso il convegno andiamo da Daniela,
del Ditirambo, ristorante ed albergo diffuso per un aperitivo
organizzato con tutti i produttori della zona. L’idea di per se è
fantastica e mi fa capire quanta collaborazione ci sia tra la proloco
ed i piccoli imprenditori. Dietro questo semplice aperitivo ci vedo
tante cose ma soprattutto resilienza, che è la cosa che cerco.
Sembra che tutti cooperino per mostrare al meglio la propria casa ed
il proprio territorio. Suona un gruppo jazz, conosco tante persone
tra cui Andrea, ideatore del consorzio ciociaro che raccoglie le
eccellenze della piccola produzione del territorio e le ripropone ad
un mercato più ampio e cerca di elevare una mentalità produttiva
necessariamente limitata ad uno scenario piú vasto dove la
produzione di nicchia è apprezzata (e ben pagata, aggiungerei).
La sua idea esprime cooperazione e territorialità, concetti
fondamentali per lo sviluppo.
La sera la passo coi ragazzi e le
ragazze della proloco, un’allegra combriccola di giovani che
collabora anima e corpo per la causa “Castro”. L’indomani
lo si dedica al lavoro sul campo. Tamara ha individuato quattro
realtà interessanti. La prima è “la pastorella” del sig. Loreto
Rossi, una piccola azienda a conduzione familiare che produce
insaccati e latticini. La loro esperienza nasce dall’impossibilità,
alla fine degli anni ’90 di continuare a lavorare per grossi marchi
e grossi consorzi per la raccolta del latte. La scomparsa del
controllo statale sui prezzi e la totale privatizzazione delle
aziende hanno fatto si che il mercato lo decidessero gli squali e che
i pesci piccoli dovessero accontentarsi delle briciole. Il signor
Loreto vede in questa evenienza un’opportunità. Si mette in
proprio ed investe tanto. Purtroppo due brutte disgrazie intaccano il
suo lavoro ma lui resiste. Al suo cospetto mi sono sentito davvero
piccolo. Sentendo la sua storia (che non riporto per questioni di
privacy) una sola domanda mi risuonava in testa: ma come fa a stare
in piedi? Eppure eccolo lí a combattere contro burocrazia,
territorio, mentalità e sfortuna. Gli chiedo della cooperazione
come mezzo di sviluppo e lui mi dice che in cooperativa c’è stato
e che a quelle condizioni non ci tornerebbe mai. Mi spiega che la
cooperativa è possibile solo se c’è cieca fiducia del socio e
questa non è mai garantita. La sua strategia per sopravvivere è
puntare sul prodotto genuino e senza artifici di sorta. Partecipa in
giro per la regione ai mercatini della Coldiretti e cerca ad ogni
occasione di innovarsi e migliorarsi. Con Loreto lavorano altri tre
suoi familiari.
Salutiamo la Pastorella e ci
reimmergiamo nel centro storico. Ci aspetta Daniela Accolla del
Ditirambo. Daniela è un vulcano, una di quelle donne che sorride
sempre e che cerca di prendere la vita con sana leggerezza eppure il
suo passo è stato lungo ed importante. Nel 2003 decide di mettersi
in società con un’altra donna di Roma per investire nel brand
“albergo diffuso” dopo che a Castro fu elaborato uno studio
di fattibilità dalla stessa persona che ha creato in Italia il
brand. Le aspettative sono alte ma purtroppo non si concretizzano
totalmente. Daniela scioglie la società acquisendo le quote della
socia dando al progetto una dimensione più a misura di Castro. La
sua attività è minuziosamente curata e le sue iniziative sono a dir
poco lungimiranti. Cerca di proporre una cucina tradizionale
rivisitata ed offre un servizio ben al di sopra della media. Lamenta
peró il suo limite proprio in quel contesto castrese a cui ha
cercato di adattarsi. I turisti arrivano ma è complicato incanalarli
e vede come prospettiva l’ingresso in circuiti turistici piú ampi.
Daniela è peró consapevole di trovarsi all’apice del suo lavorío
e che i risultati arriveranno perché “fare le cose bene
significa investire tanto ed aspettare tantissimo ma quando i
risultati arrivano saranno solidi ed inamovibili”. A pranzo
sono ospite della famiglia Maura, a casa di Marina e Mariangela, due
ragazze della proloco. Mi piace raccontare questi particolari per
farvi capire quanto questo viaggio mi arricchisce e quanto sia
esperenziale. Senza queste cose il mio viaggio sarebbe stato vuoto ed
improduttivo. Pranzare con loro è come pranzare a casa ed a
malincuore devo lasciarli per continuare il mio lavoro.
Siamo diretti alla “fattoria del
casale”, un punto vendita di carni fresche e lavorate che fa
filiera corta dato che tutti i prodotti vengono dai loro animali.
Altro esempio di resilienza. Il marito della signora Silvana perde il
posto in fabbrica alla fine degli anni ’90. Da quel giorno decide
di investire tutto a Castro e nel suo terreno iniziando ad allevare
mucche e maiali. Il figlio, dottore agrario, decide anch’egli di
fermarsi nell’azienda di famiglia. Un classico esempio di come
la crisi possa diventare un’opportunità.
Prossima tappa da Pasquale al
“Ruspante”, dove dormo. Pasquale ha una storia analoga. Nel ’94
la fabbrica dove lavorava chiude i battenti dalla sera alla mattina.
Si ritrova senza lavoro e senza possedere niente di particolare. I
suoceri hanno una stalla, glie la danno, lui la prende e la
trasformain una cucina ed una sala da 17 posti. L’azzardo di
Pasquale è stato quello di buttarsi nel business dell’agriturismo
che qui, fino a 20 anni fa era sconosciuto. Pasquale continua ad
investire quello che guadagna ampliando il locale e ristrutturando un
altro casale. Lui non bada a spese per quanto riguarda le materie
prime ( tutte rigorosamente o autoprodotte o del territorio) ed i
suoi dipendenti (da lavoro a circa 15 persone). Anch’egli individua
il limite della sua attività nel territorio e nel contesto culturale
in cui è mmerso ed è per questo che è costretto a mantenere prezzi
limitati pur offrendo una qualità altissima. Il contesto sociale
e la mentalità del posto influiscono tanto, dunque, sulla buona resa
di un impresa anche in un posto, che a mio avviso, si apre
benissimo ad una clientela “da fuori”piú disposta a spendere il
giusto per mangiare bene.
Vivendo varie
peripezie tra lavanderie, spostamenti, farmacie, pause dolciarie dal
“mitico” Giustino, la quinta realtà analizzata è quella con cui
sono stato piú a contatto in questi giorni, cioè i giovani. Nel
borgo ci sono 200 persone di cui una quarantina giovani. Una
percentuale altissima. Esistono varie associazioni, ogni tanto c’è
attrito ma la maggior parte delle volte collaborano. La cosa che noto
è che qui la gioventú è viva, e non è poco. Si lamenta un
po’ l’apatia ed il menefreghismo di alcuni (cosa che nasce,
secondo me, dal fatto che 3800 dei 4000 abitanti sono sparsi nei
piccoli nuclei ai piedi del colle dove sorge il borgo e che quindi
c’è una grande dispersione). Nei loro occhi peró vedo tanta
voglia di restare, tanta voglia di essere attivi, tanto amore per
Castro e pure se ogni tanto si sconfortano continuerebbero a fare
quello che fanno, sempre. Insomma a livello associativo ci lamentiamo
un po’ tutti delle stesse cose ma sinceramente una situazione come
quella di Castro o anche di Priverno io me la sognerei nel mio
territorio.
La due giorni castrese volge al termine
con l’eredità di un bagaglio riempito fino all’orlo (anche
materialmente visto che hanno deciso di consegnarmi quella che
chiamano “la razione k” in caso di crolli glicemici lungo il
percorso). Saluto i ragazzi, grandi esempi di resilienza! Non so
davvero come ringraziarli per l’accoglienza riservatami, dire di
essermi sentito a casa sarebbe troppo riduttivo.
Domani si parte alla volta di Lenola,
lascio i Lepini per gli Aurunci, spostandomi un po’ di più verso
il mare